3 giorni nelle isole Faroe
Dopo il successo
del mio ultimo blog sulla DK, oggi vi racconterò la mia ultima avventura in una
parte della Danimarca persa nell’oceano Atlantico, più precisamente nel mar di
Norvegia: LE ISOLE FAROE.
Sono tornata pochi
giorni fa ed ho ancora quei paesaggi meravigliosi impressi nella mente. È stata
la mia prima esperienza in un paese così selvaggio, un paradiso per ogni hiker
ed amante della natura. La pace che si percepisce osservando i paesaggi, le
meravigliose cascate naturali che si trovano ogni due metri, il verde e i
fiordi tagliati dal vento… tutte sensazioni mai provate prima.
on the road |
Ma prima di
raccontarvi il mio tragitto vi darò qualche informazione su queste 18 isole
sperdute (ma non poi così tanto). La capitale delle isole si chiama Tòrshavn e
si trova nell’isola di Stremoy, l’isola più grande in estensione, mentre
l’aeroporto si trova in un’isola minore chiamata Vagar, dove inizierà il mio
racconto. La popolazione totale è poco meno di 50 mila abitanti, di cui 20 mila
abitano nella capitale. L’archipelago, scoperto nel decimo secolo dai vichinghi
norvegesi, fa parte del regno di Danimarca, la quale ha la responsabilità della
difesa e degli affari esteri, ma lascia all’arcipelago autonomia per la
politica interna dal 1948. La lingua parlata è il faroese, seguita dal danese e
l’inglese, studiati a scuola. Quindi, se pianificate una visita in questo
splendido arcipelago, non avrete problemi a comunicare, se avete una buona base
di inglese.
DAY 1
Quando ti accorgi che stai arrivando alle Faroe |
Il nostro viaggio
inizia venerdí mattina, con un volo SAS da Copenhagen a Vaga Airport (FAE è la
sigla officiale dell’aeroporto). Qualche mese prima, infatti, SAS aveva fatto
una promozione con la quale si potevano avere sconti sui voli nei paesi nordici
usando le miglia. In questo modo, il mio ragazzo ed io siamo riusciti ad
accapparrarci i voli a soli 60 euro a/r.
Quando arriviamo
all’aeroporto faroese, capiamo subito di essere in un altro mondo: ci accoglie
una cortissima pista di atterraggio e un nuovissimo aeroporto (aperto nel 2003
e davvero scandinavo nell’interior design) con addirittura DUE gate (leggere
con ironia). Andiamo a ritirare la macchina che avevamo prenotato con Budget,
ma sempre sul sito di SAS, in modo da accumulare più miglia possibili (leggi su
questo blog il mio amore per le miglia). Con la nostra nuova macchina, una Suzuki
Splash, ci dirigiamo verso Bøur, un piccolo paesino sulla via per Gadasalur.
Bøur è, quindi, il nostro primo impatto con i paesini/villaggi faroensi, e non
poteva esser più tipico:
Casette tipiche everywhere |
Le pecore ci
osservano dall’alto mentre camminiamo lungo le piccole vie di Bøur, per poi
riavviarci verso la bellissima cascata di Molafossur, ai piedi del villaggio di
Gasadalur. Arrivati al villaggio, nulla ci fa credere che, a qualche passo di
distanza da lí, ci sia una tale meraviglia naturale. Lí troviamo un altro viaggiatore,
dall’accento britannico, che ci dà un consiglio per avere un’ottima
inquadratura per una splendida foto. Ed eccola, nessun filtro è stato
necessario:
Molafossur, una meraviglia per gli occhi |
Dopo aver contemplato
lo spettacolo che ci sta davanti, ci avviamo verso Torshavn, passando di nuovo
per il tunnel ad una sola corsia (questa cosa mi preoccupava particolarmente,
ma le strade non sono così affollate e in più ci sono spazi in entrambi i lati
del tunnel per fare in modo che una macchina possa far passare l’altra). Ci
fermiamo a camminare attorno al lago più grande delle isole, che si trova
proprio sul nostro tragitto verso la capitale. Camminare nella natura faroese
implica prestare molta attenzione a dove si mettono i piedi, non solo se si è
vicini ai fiordi (per il semplice motivo di non cascare giù), ma anche, e
soprattutto, per le cacche di capra. XD
Al nostro arrivo
nella cittá di Torshav, andiamo subito al nostro Airbnb, la cui proprietaria,
Sigrun, è una dolcissima signora faroese, che, peró, parlava poco inglese. Ma, visto
che la sua seconda lingua è il danese, inizia tranquillamente parlare con
Anders. Dopo i convenevoli, andiamo a fare una passeggiata attorno alla città, tra
la piccola cattedrale, il porto, qualche via con negozi, locali e ristoranti
dal design scandinavo.
Un negozio per skaters a Torshavn |
Capiamo subito che, nonostante la posizione poco
conveniente nel mezzo dell’Atlantico, a questa piccola capitale non manca nulla
(forse un H&M). Per quella sera, decidiamo di andare a fare un breve
aperitivo al Cafè Brell, dove un bicchiere di vino costa (80 kr, poco più di
dieci euro), e poi andiamo a cena al ristorante cinese Seven, semplice ma
buono.
DAY 2
Il secondo giorno
ci aspetta con un sacco di cose da fare. Ci svegliamo presto per andare a Klaksvik,
la seconda cittadina più grande dell’arcipelago, situata sull’isola di Borðoy.
La nostra destinazione principale è, peró, l’isola di Kalsoy, raggiungibile
solamente tramite un traghetto dal porto di Klaksvik (traghetti facilmente
consultabili sul sito seguente http://www.ssl.fo/en/home/). Parte delle isole del Nord e con una
popolazione di meno di 150 abitanti, questa isola ha il rapporto pecore/umani
pari a 1000:1. Scesi dal traghetto, dopo una percorrenza di soli 20 minuti su
un mare piattissimo e con viste meravigliose, ci avviamo sull’unica strada
dell’isola, con destinazione Mikladalur, dove ci aspettava la statua della
Selkie e la sua bellissima leggenda.
Sul traghetto |
Le selkie sono
delle creature mitologiche presenti nelle storie popolari scozzesi ed islandesi
e, in questa particolare leggenda, si narra che questi esseri potessero trasformarsi
da foche ad umani. Alla vigilia
dell’epifania, una notte all’anno, queste creature si riunivano a festeggiare sulla
spiaggia di Mikladalur liberandosi dalla “pelle” di foca e mostrando le loro
sembianze umane. Durante una di queste notti, un pescatore vide una selkie e se
ne innamorò, decidendo di rubarle la “pelle” di foca, per farla rimanere sulla
terraferma. La donna, quando si accorse della sua perdita, si disperò e l’uomo
la costrinse ad andare a casa con lui. Col passare degli anni, la selkie si
sposò ed ebbe figli con il pescatore, che teneva sempre con sé la chiave del
nascondiglio della pelle di foca. Un giorno, però, egli si dimenticò la chiave
a casa, e quando tornò, la donna se n’era andata, mettendo al sicuro i figli e
riprendendosi la sua pelle di foca. Passarono gli anni, e, quando i pescatori
del villaggio decisero di andare a caccia di foche, la donna apparve in sogno
all’ex marito, chiedendogli di risparmiare la vita del marito-foca e dei
cuccioli, descrivendoli con dettagli. L’uomo ignorò il sogno e, con gli altri
pescatori, uccisero tutte le foche che trovarono. Il giorno dopo, mentre l’uomo
stava cucinando la carne per lui ed i figli, la donna apparve e, disperandosi
nel vedere i suoi cuccioli ed il marito che stavano per essere mangiati, lanciò
una maledizione sul villaggio: ogni uomo sarebbe stato destinato a morire
annegato nell’oceano o cadendo dalle alture. Nella spiaggia dove questa
leggenda ha scena, si può ora trovare la statua della donna che, stringendo la
sua pelle di foca, rivolge il suo ultimo sguardo al villaggio (leggenda
tradotta da qui: http://nordoy.visitfaroeislands.com/en/the-northern-isles/kalsoy/the-legend-of-the-seal-woman/)
La statua della Selkie sull'isola di Kalsoy |
Dopo aver
visitato questo villaggio e camminato tra il verde e le immancabili pecore, ci
mettiamo alla ricerca di un posto dove bere un caffè caldo, dirigendoci verso
il villaggio più grande (con addirittura 54 abitanti), Husar. Il bar locale,
però è chiuso ed è comunque occupato da una festa di compleanno, quindi
domandiamo ad un passante cosa fare. L’uomo ci guarda divertito confermandoci
che è tutto chiuso, ma ci dice che può chiedere alla moglie di prepararci
qualcosa. E cosí, dopo qualche minuto, ci ritroviamo in un caldo salotto, con
la tavola imbandita per una buona merenda. Nicolina, nuora dell’uomo con cui
abbiamo parlato, ci fa compagnia, parlando in danese con Anders e spiegandoci
la leggenda di Mikladasur. Dopo più di mezz’ora di relax e di Heimablídni, o
“home hospitality” (vedi http://www.visitfaroeislands.com/see-do/dining/), ci
invita a seguirla nel capanno vicino alla casa, dove ci mostra come macellano
le pecore di proprietà della famiglia del suo ragazzo. Ci racconta che lei è di
Klakvik, ma il suo ragazzo è originario di Husar e la sua famiglia possiede 80
pecore, motivo per il quale sono lí quel sabato.
Una piccola merenda |
Dopo questa
bellissima esperienza, ci dirigiamo verso il terminal del traghetto, per andare
a vedere l’attrazione principale della città di Klaksiv, Christianskirkjan, la
chiesa ideata dall’architetto danese Peter Koch. Anche la chiesa, peró, è
chiusa al pubblico per la bassa stagione, ed aperta solo per le funzioni
domenicali. Non ci resta che osservarla da fuori.
Christianskirkjan, Klaksvik |
Nel nostro
tragitto di ritorno a Torshavn, ci fermiamo a Leivik, dove sono stati ritrovati
alcuni dei reperti più antichi dell’archipelago, le fondamenta di una fattoria
vichinga del 10imo secolo. Facciamo molta difficoltà a trovarli, pensando che
fossero conservati chissà dove, invece li scopriamo accanto alla strada
principale, che avevamo percorso per andare a Klaksvik. Una targa descrittiva è
posta lí vicino, ma niente più: nessun cancello o entrata da pagare.
Leivik |
Arriviamo a casa
giusto il tempo per una doccia e poi andiamo verso la nostra avventura
culinaria: il ristorante AARSTOVA. Non ci sono parole per descrivere la bontà
dei piatti che assaggiamo. Il menù è molto limitato, possiamo scegliere tra l’opzione
3 portate (antipasto, piatto principale e dolce) o 5 portate. Scegliamo la
prima opzione, accompagnata da una bottiglia di Cremant ed aspettiamo le nostre
portate, mangiando del buonissimo pane fatto in casa con formaggio di capra. Il
mio antipasto consiste in una zuppa di aragosta per la quale perdo la testa,
mentre Anders prende dell’ottimo salmone. Aspettiamo un po’ per la portata
principale, ma l’attesa è ripagata dal mio delizioso baccalà e, per Anders, del
morbidissimo agnello. Siamo parecchio pieni, ma c’è sempre spazio per il dolce:
crumble di rabarbaro e tris di cioccolati. Pieni, ma davvero tanto, finiamo il
nostro vino e ci dirigiamo a casa, passeggiando per il molo e cercando l’aurora
boreale nel cielo (troppe nuvole, purtroppo).
DAY 3
In questo giorno decidiamo di andare a Vestmanna,
nella speranza di vedere qualche pulcinella di mare nei suoi fiordi. Il tragitto
è poco più di mezz’ora in macchina, poiché si trova nel lato opposto della
capitale. Dopo qualche minuto in macchina, la nebbia aumenta sempre più, ma
riusciamo ad arrivare a Vestmanna senza difficoltà. Quando arriviamo, ci
troviamo davanti ad una città fantasma.
Vestmanna |
Giriamo per le
sue vie, passando per il solitario porto e la chiesa, dove era riunita la
maggior parte degli abitanti della città, ma di pulcinelle di mare nemmeno l’ombra.
Persino il centro per il turismo è chiuso, sempre per bassa stagione, e con
esso anche le gite organizzate in barca nei fiordi della piccola baia dove è
posta Vestmanna. I bar? Tutti chiusi, complici del fatto che è domenica. Ci
dirigiamo verso la piccola cittadina di Leynar, per vedere una delle poche
spiagge sabbiose dell’isola di Streymoy. La nebbia, però si è fatta sempre più
fitta e l’umidità è tale che sembra che piova. Il tempo peggiora di minuto in
minuto.
Torniamo verso la
capitale, ma abbiamo un’altra destinazione: il villaggio di Kirkjubøur. In
questo piccolo villaggio molto vicino a Tòrshavn, con 75 abitanti, c’è la più
antica casa di legno tuttora abitata (dalla stessa famiglia, tra l’altro) nel
mondo, risalente all’undicesimo secolo. Durante l’estate, la famiglia
Patursson, proprietaria della casa, permette di visitare i suoi interni e di
pranzarci dentro, ma come ogni attrazione, anche la casa è chiusa al pubblico.
Kirkjubøargarður |
Davanti ad essa,
vediamo uno dei reperti più importanti dell’arcipelago, la cattedrale di St.
Magnus, risalente al tredicesimo secolo e della quale rimangono le mura in
roccia. Nei pressi di questo reperto, sono state trovate delle rune di epoca
vichinga. La chiesa di St. Olav, posta direttamente sul mare e opposta alla
cattedrale, è risalente dal dodicesimo secolo ed ha, al suo esterno, un piccolo
cimitero.
Magnus Cathedral |
Da li, torniamo alla capitale, ci prepariamo una pasta nel nostro Airbnb e, dopo un caffè veloce, andiamo al museo, che era aperto solo dalle 14 alle 17. Il museo di storia naturale, un po’ fuori città, è piccolino ma molto interessante per conoscere la storia dei reperti vichinghi trovate nel territorio e la formazione vulcanica delle isole, molto simili, come formazione, alle Hawai’i.
Al suo interno, si possono anche trovare informazioni sulla pratica più importante per l’economia faroese: la pesca. Ecco i modelli di barche usate nel passato per la pesca commerciale:
Una domenica al museo |
Dopo il nostro momento culturale, veniamo accolti dalla pioggia e dal brutto tempo, e decidiamo di proseguire la serata in relax ed hygge. Il giorno dopo, partiamo alle 9 e mezza con destinazione l’aeroporto di Vagar, e per strada troviamo un autostoppista, che facciamo salire in macchina con noi. Il nostro nuovo amico, del quale non abbiamo nemmeno chiesto il nome, è un ragazzo polacco sui 20 anni, che aveva passato due settimane sulle isole con lo solo scopo di fare hiking. Ci dice che quella era stata la sua prima vacanza da solo. Arrivati all’aeroporto, prendiamo un caffè e quando apre il controllo di sicurezza (si, era chiuso pure quello), facciamo i controlli. In due. Senza nessuno dietro o davanti di noi (magari fosse sempre così).
Non poteva mancare il nostro shopping aeroportuale, che questa volta consiste in un set di 5 birre tipiche faroesi!
La nostra avventura finisce qui, con la promessa di vedere le spettacolari isole del sud (Sandoy) e magari fare qualche attività estiva (quando tutto è aperto e in funzione magari).
Gente, andate!
Vi ses snart!! |
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